74° anniversario della Dichiarazione Schuman, primo pilastro dell’unità dell’Europa

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di Roberto Marraccini

Perché il 9 maggio è la Festa dell’Europa

Oggi l’Europa, almeno come idea primigenia di costruzione di una unità di intenti tra Stati e popoli diversi, compie 74 anni. La data di riferimento di questo anniversario è da ritrovare – andando a ritroso nel passato – il 9 maggio del 1950. La data celebrativa, “Giorno dell’Europa” o “Festa dell’Europa”, venne decisa nel corso del vertice europeo di Milano (nel 1985). Essa coincide con l’anniversario della famosa e diventata storica, Dichiarazione Schuman, dal nome del Ministro degli Esteri francese, Robert Schuman, che la espose il 9 maggio del 1950, a Parigi.

L’idea di Unità dell’Europa

La Dichiarazione Schuman è ritenuta il vero e proprio documento fondatore del processo di unificazione europea. In quella dichiarazione, Schuman presentò quelle che erano le sue idee circa una nuova forma di cooperazione politica per il futuro dell’Europa. Obiettivo non nascosto e apertamente dichiarato, tra l’altro molto ambizioso visto il periodo temporale appena successivo al secondo conflitto mondiale, era di procedere alla realizzazione di una istituzione europea che potesse mettere – in comune – la gestione e produzione del carbone e dell’acciaio. Quello fu il primo embrione di quella che divenne poi, successivamente, la Comunità Europea.

L’idea di unità dell’Europa, affascinante e che nella storia ha svariati interpreti, pur essendo presente come idea/teoria fin dal Medioevo, diviene – concretamente – un obiettivo politico comune, solo dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Viene ritenuta, in quel momento, una idea da concretizzare istituzionalmente e poi legislativamente.

Alla fine di quel conflitto bellico, l’Europa si trovava in una situazione drammatica. Era completamente martoriata dalle distruzioni materiali e psicologiche derivanti dal conflitto e necessitava di risollevarsi.

In quello scenario, l’ordine mondiale venne spartito in due aree di influenza geo-politica: da una parte gli Stati Uniti e dall’altra l’Unione Sovietica con l’ideologia comunista che portava con sé. Gli stati europei, quindi, perdendo la loro posizione dominante regredirono al rango di satelliti delle due superpotenze, ed inseriti all’interno del complesso meccanismo della Guerra Fredda.

Fino dunque al secondo conflitto mondiale, non si era mai parlato e discusso con una convinzione non semplicemente utopistica – tranne rare eccezioni – di costruire una Europa unita ed integrata.

Con la fine delle ostilità, si cercò di portare pace e sicurezza in Europa, e questo era possibile con una collaborazione sul terreno militare tra gli Stati dell’Europa occidentale. Da ciò nasce poi la condizione politica della collaborazione sul piano economico.

I pionieri dell’Europa e l’idea federale

L’ideatore del progetto di unificazione europea – oltre ad alcuni esponenti del Risorgimento italiano come Carlo Cattaneo che invocava gli Stati Uniti d’Europa – fu Altiero Spinelli, che puntò decisamente sul ruolo costituente del Parlamento europeo. Nel suo famoso Manifesto di Ventotene (scritto tra il 1943 e il 1945 nel suo esilio durante il regime fascista) lascia intravedere la possibilità della nascita di un’Europa integrata che, nella sua visione strategica, avrebbe dovuto essere costruita su un’architettura federale. Nasce l’idea del federalismo europeo, del federalismo sovranazionale.

Comunque, la prima pietra per la costruzione di un embrione di Comunità europea fu posta proprio con la Dichiarazione Schuman. Partendo, come detto, dal mettere in comune la produzione e gestione del carbone e dell’acciaio si voleva giungere – con il tempo – alla formazione di un’unione economica tra gli Stati europei.

Successivamente, a seguito della Dichiarazione Schuman, venne firmato a Parigi, il 18 aprile del 1951, il primo dei Trattati comunitari, per l’istituzione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). I paesi aderenti erano: Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo ed Italia.

Il futuro dell’unità europea

Settantaquattro anni dopo l’Europa celebra questo anniversario minacciata da un pericolo diverso, ma la cui drammaticità non mette meno a rischio la sua coesione e il suo futuro. Oggi, occorre interrogarci ed in profondità sul percorso compiuto dall’integrazione europea e dall’unità dell’Europa, partendo proprio dalle basi ideali poste in quel documento. Divisioni, nazionalismi che risorgono, minacce di barriere da elevare che vengono paventate, stanno – purtroppo – minacciando di far tornare indietro la storia dell’integrazione comunitaria. Le emergenze in atto (es. guerra in Ucraina, il ritorno del conflitto in Medio Oriente tra Israele e Hamas ecc.) stanno ancora di più rafforzando e facendo emergere quelle divisioni che vorrebbero interrompere il percorso voluto, sognato e per cui hanno lottato i Padri Fondatori dell’Europa.

Ma interrogandoci capiremo, anche, che la strada percorsa fino ad oggi è quella giusta, pur essendo ancora lunga. Il traguardo finale è, forse, un sogno; ma è con i sogni che si costruisce, ogni giorno, la concretezza della vita. L’Europa deve ripartire, anche nel suo progetto istituzionale; come ci aveva indicato Schuman, verso una vera Unità tra i popoli d’Europa. Verso gli Stati Uniti d’Europa.

Brexit, dentro o fuori. La Gran Bretagna di fronte alla storia

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Oggi, per il Regno Unito, è il grande giorno: quello che potrebbe sancire per sempre il suo divorzio dall’Unione europea e consegnare ai posteri il suo independence day.

Credevo, sinceramente, che non saremmo mai arrivati a questo appuntamento, anche perché il Premier Cameron – nonostante la sua campagna per il remain (restare nell’Ue), anche lui non è un grande fautore dell’integrazione europea, come da stile inglese – pur richiamandolo spesso, aveva cercato di scongiurarlo con i fatti.

È dello scorso febbraio, infatti, l’approvazione dell’accordo tra Ue e Regno Unito, proprio per evitare e scongiurare il pericolo Brexit. In quell’accordo – ultrafavorevole per l’UK – si erano poste le basi per “ammaliare” i britannici, strizzando loro l’occhio nella speranza di tenerli agganciati alla casa comune europea.

Dopo lunghissime trattative e negoziati, durati mesi, Cameron è riuscito a “strappare” in pratica tutto ciò che chiedeva e che voleva portare a casa per sé e per i britannici. Tra l’altro, ricordiamo:

  • la riduzione di una serie di benefìci fiscali per i cittadini di altri Paesi dell’Ue (che arrivano nel regno Unito);
  • modifica dei Trattati comunitari, intervenendo nella parte che prospetta un’Unione sempre più stretta tra gli Stati membri (in sostanza, è il rifuto dell’unione politica);
  • maggiore indipendenza finanziaria per la City di Londra.

 

Ue-Regno Unito: un rapporto difficile

Il rapporto tra Ue e Regno Unito, sia chiaro, non è mai stato idilliaco; anzi, tutt’altro. Il Regno Unito non partecipa alla moneta unica, tenendosi stretta la sterlina (a volte penso siano davvero fortunati). Una sempre e più stretta integrazione tra gli Stati, così da giungere ad una integrazione politica tout court spaventa da sempre il Regno Unito, tanto che già in passato – nel 1975 – votarono un referendum sulla permanenza del Regno Unito nella Comunità europea (in quel caso il 67,2% dei britannici votò per rimanere nella CE).

Ma dobbiamo anche ricordare come, tra i cosiddetti Padri fondatori dell’Europa, possa essere annoverato anche Winston Churchill, il quale, in uno storico discorso  tenuto all’Università di Zurigo il 19 settembre 1946, disse:

“Dobbiamo ricostruire la famiglia dei popoli europei in una struttura regionale che potremmo chiamare Stati Uniti d’Europa, e il primo passo pratico consisterà nella creazione di un Consiglio d’Europa. Se, all’inizio, non tutti gli Stati d’Europa vorranno o saranno in grado di partecipare all’unione, dobbiamo ciò nonostante andare avanti e congiungere e unire gli Stati che vogliono e che possono”.

Il significato e le implicazioni politiche del referendum sulla Brexit

Il referendum di oggi – o dentro (remain) o fuori (exit) – è davvero un appuntamento storico, che può cambiare per sempre la storia del Regno Unito ed anche dell’intera Unione europea.

A questo referendum, voluto fortemente da Cameron (chissà come in cuor suo stia maledicendo questa scelta), credono in molti. E questi molti sono presenti – in maniera trasversale – in tutti i partiti più importanti (dai Conservatori, ai Laburisti, ai Liberali).

Cameron ha puntato molto sul voto a favore del remain, anche per far dimenticare all’opinione pubblica il suo coinvolgimento, recente, nell’affaire Panama Papers. Se il risultato sarà a suo favore – Ue e UK ancora insieme – allora rafforzerà certamente la sua leadership, passando come il Premier che ha davvero traghettato il Regno Unito dentro l’Unione europea.

Se succederà il contrario, invece, dovrà fare i conti con l’ala anti-europeista del suo partito (capeggiata dall’ex Sindaco di Londra Johnson), pronta e decretarne la sua sostituzione.

 

Il paradosso inglese: no Europa, sì mercato unico

È comunque paradossale che il Regno Unito da un lato abbia il forte desiderio di ritrovare la propria sovranità perduta ma, al contempo, voglia continuare a far parte a pieno titolo del mercato unico europeo (perché questo strumento funziona, porta efficienza economica e capacità di intervento nei mercati mondiali). È estremo cinismo questo. L’Ue non è uno strumento da utilizzare seguendo il proprio utilitarismo nazionale. Gli scopi, gli ideali, per cui era nata l’Ue erano ben altri.

 

Un risultato in bilico: tutto può accadere

Fare previsioni è difficilissimo, ed infatti non ne farò (non voglio lanciarmi in previsioni azzardate), vista la forte incertezza e l’estremo equilibrio tra le posizioni contrapposte (in e out). Staremo a vedere, anche perché la realtà britannica è sempre sorprendente. Ricordo ancora il referendum scozzese sull’indipendenza dal Regno Unito. Ero profondamente convinto dello spirito nazionale ed identitario scozzese e credevo, anche, che questo avrebbe spinto il Sì all’indipendenza della Scozia. Ma le cose, come ricordiamo, non andarono così.

 

Tributo a Jo Cox

La campagna elettorale britannica, sempre composta e imperniata sul dibattito/confronto tra idee e posizioni diverse, questa volta è stata macchiata da un vile “assassinio politico”: Helen Joanne “Jo” Cox, deputata laburista, attenta ai diritti umani, da sempre in lotta per difendere i più deboli. Questa uccisione ha scosso non solo la Gran Bretagna e la campagna elettorale in corso, ma anche tutti coloro che credono nel rispetto delle idee altrui e nella politica intesa come servizio per la società.

Le idee hanno sempre bisogno di espressione e di potersi manifestare; anche le più scomode e non politicamente corrette. Alimentano il dibattito, animano le diversità e dunque fanno aumentare il grado di democrazia di un sistema. Togliere la vita ad una giovane donna solo perché stava cercando di veicolare nella società le sue idee è semplicemente aberrante.

Quello che posso dire e voglio dire è che oggi, qualunque sia il risultato del referendum, il Regno Unito avrà dato una grande prova di democrazia e di libertà al mondo. Gli esercizi di democrazia diretta, per quanto mi riguarda, devono sempre essere incoraggiati e la loro pratica applaudita. E questo accadrà grazie anche a Jo Cox.

Roberto Marraccini